Una volta deciso che pensavamo forse magari se ce la facevamo di andare a Budapest, tutto il mondo ci ha detto a) è bellissima b) non perdete il Parlamento.
Al punto che mia zia, non esattamente una tecnofila, mi ha mandato un sms apposta.
Indi per cui, una volta arrivati, vedere il Parlamento ungherese era un must (subito sotto alle terme, ovviamente).
Essendo una brava bimba diligente, prima di partire mi ero anche stampata la pagina con le info, dalla quale si deduceva che a) non si poteva prenotare b) i cittadini europei non pagano c) la visita guidata in italiano si tiene alle 11.30.
Per cui ci avviamo bel belli verso il Parlamento dove arriviamo alle 10 pensando che in un’ora e mezzo hai voglia.
Dunque funziona così. Tu arrivi fuori dal Parlamento, fai il giro finché non vedo una fila lunghisssssssssssima tuuuuuuuuuuutta sotto il sole che termina prima del cortile, vai all’inizio della fila, leggi il cartello nelle varie lingue con gli orari delle visite guidate nelle varie lingue, per sicurezza chiedi al soldato di guardia che ti dice che no, non è la fila per entrare ma sì, è la fila per comprare i biglietti ma sì, i cittadini europei non pagano ma no, non possono presentarsi alla visita guidata, devono comunque fare la coda per comprare i biglietti che poi non pagheranno, poi ti fornisce eventuali informazioni contingenti (tipo nel nostro caso che i biglietti per la visita delle 11.30 sono finiti ma meglio prendere subito quelli per la visita delle 4), ti rimanda in fondo alla fila e aspetti.
Aspetti.
Aspetti.
Aspetti perché in pratica funziona che il primo della fila passa, attraversa tuuuuuuuuuuuuutto il cortile, entra nella biglietteria, compra i biglietti e/o li prende e non li paga, esce, ripercorre tuuuuuuuuuuuuutto il cortile, arriva all’inizio della fila e SOLO ALLORA il soldato fa entrare il successivo. Si va dai 5 ai 10 minuti a biglietto.
Dopo 90 minuti circa è il nostro turno. Partiamo baldanzosi e confortati dal fatto che cmq quella delle 11.30 ce l’eravamo ormai persa. Arriviamo alla biglietteria. La sciura angloparlante ci dice che i biglietti per le 11.30 sono finiti. Ok. Anche quelli per le 4 sono finiti. Rimangono solo quelli per la visita guidata in spagnolo delle 12.30. Noi ci perplimiamo. Fuori ci saranno almeno 200 persone di tutte le lingue e nazionalità cui nessuno ha detto NULLA. Diciamo vabbè. Li prendiamo per domani. La signora dice che non si può. Io chiedo, per sicurezza, parla in inglese, magari non ho capito bene, come non si può? Fede che è molto anglofono mi conferma che non si può.
IO ESPLODO.
What? We waited outside there for ONE HOUR AND A HALF and nobody told us and all the other people out there that the tickets finished, and now WE CAN’T TAKE THE TICKETS FOR TOMORROW?
Fede cerca di calmarmi e di spiegarsi più chiaramente, sempre in inglese. La sciura si altera e comincia a ripetere: I don’t speak italian (!).
Fede le risponde che we were speaking english e mi trascina via.
Usciamo e avvisiamo NOI (lo spirito dei servizi al pubblico si spezza ma non si piega!) tutta la fila, e ce ne andiamo dopo aver buttato una mattinata. Mi accorgo che ho il segno dei Birkenstock: mi sono abbronzata in coda a una biglietteria.
La mattina dopo siamo lì alle 9 con aria cattiva, facciamo la fila per un’ora, prendiamo i biglietti per le 11.30 e scopriamo* che i gruppi (leggi: più di una persona) POSSONO prenotare (non si sa come).
Il Parlamento è stupendo, ma se scoprite come prenotare è meglio.
* lo scopriamo quando sto per assalire una giuovine pulzella americana che saltava la fila.
[continua]
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