Archivio mensile:marzo 2009

rivelazioni

E’ una settimana che rimugino sull’ultimo post, sul fatto che il giorno prima avevo discusso con una non utente (cioè, non iscritta) che pretendeva di studiare lì e tanto a me che cosa mi importa, e sul commento di Iorek che in fondo è vero, ma chi me lo fa fare, e sul fatto che invece proprio non ci riesco. Avevo anche elaborato un’interessante teoria sul mio comportamento come ribellione inconscia al lassismo imperante e anche come ribellione politica antiberlusconiana – che comunque può tornare sempre utile.

Il fatto è che da due giorni sono in un altro istituto a sostituire un collega malato.
Qui non si sente volare una mosca.
Mi hanno chiesto se si poteva lasciare aperta la porta a fianco a me che cigolava, cosa di cui io non mi ero manco accorta, altro che disturbare.
I volumi sono in ordine perfetto perché gli utenti leggono il cartello che dice di non riporli.
Non devo discutere su nessuna regola del regolamento, né sui cellulari, né sui tesserini, né sulle borse (l’usanza è leggermente diversa qui ma più o meno ci siamo), e se putacaso devo rammentarle nessuno, nessuno, e ripeto NESSUNO si sogna di discuterle, ma si scusa (a volte vergognandosi pure un po’).
I docenti non solo si vedono qui e non chiamano per far eseguire i loro ordini, ma si vanno pure a prendere i libri da soli (tranne quelli molto anziani che a volte chiedono anche aiuto con le prenotazioni via computer, ma sempre senza pretese e scusandosi del disturbo), sono gentili, e addirittura fanno qualche battuta letterario-latinista con aria complice e non come se tu fossi una commessa schiava a loro disposizione. In più quando capiscono che non sei del luogo ti spiegano le particolarità della biblioteca e si scusano di seccarti se non sai dove si trova la tal sezione riservata (che, benché qui temporaneamente, comunque dovrei sapere…). Se poi vedono che sono incinta, si fanno in quattro per riporre loro i libri.

Un sogno. Un paradiso. Dovrei venire qui una volta a settimana come camera di decompressione per rendermi conto che la gente no, non è tutta come la mia utenza abituale.

Ma soprattutto allora… allora… NON SONO IO!!!

lavoro in una biblioteca finta

E’ un po’ che non aggiorno sui miei utonti, non perché non abbia da raccontare ma perché mi cadono le braccia tra docenti che si fan fare la fotocopia della dichiarazione dei redditi, assistenti che pensano di essere padreterni e studenti a ruota. Piattume di no non ti lascio il tesserino perché ti ruberesti la mia anima, no la borsa me la tengo perché portare due libri a mano mi ucciderebbe, no il cellulare è collegato inscindibilmente al mio orecchio, no il libro me lo tengo quanto mi pare e degli altri chi se ne frega. Degli altri chi se ne frega è il leit motiv.

Ogni tanto però delle perle.

Luogo: sala riservata ai tesisti di giurisprudenza muniti di computer (cosa scritta in evidenza a caratteri cubitali, con aggiunta ‘chiedere agli addetti’), con accesso di fronte al banco addetti.

Entra figliuolo con zaino e va sparato alla sala.

Io: Scusi, la borsa va fuori e il tesserino all’ingresso…
Niente. Noto le cuffiette e sento la musica. Vado nella sala.
Io (sorridendo, che tanto è l’unico modo): Se il suo ipod è così alto che non ha sentito che l’ho chiamata, allora è decisamente troppo alto per una biblioteca (sorriso).
Lui (strafottente): Ma lei ha mai lavorato in una vera biblioteca?
Io (smetto di sorridere): Sì. E lì non dovevo sentire risposte come questa. Abbassi la musica, porti fuori la borsa e mi porti il tesserino, grazie.

Il tipo esce, mi lancia un tesserino e va agli armadietti delle borse.
Io: Ho bisogno del tesserino universitario, grazie.
Glielo rendo, mi las(n)cia quello universitario e entra nella sala.
Guardo il tesserino: lettere e filosofia.

Entro nella sala.
Io (esasperata ma neanche troppo incazzata): Lei non può stare qui, la sala è riservata ai tesisti di giurisprudenza con computer, ogni dipartimento ha i suoi posti riservati quindi cortesemente vada al suo.
Lui (strafottente): Ma l’ho sempre fatto.
Io: Si vede che ci è sfuggito che non era di giurisprudenza. Devo chiederle di andare alla sua facoltà.
Lui (strafottente): Io non me ne vado.
Io: Non può stare qui.
Lui (strafottente): Chiami pure la vigilanza.

Esco (furente), e chiamo il mio capo.
Capo: Segui la procedura, manda il tesserino in direzione e avvertilo che dovrà andarlo a ritirare lì così gli fanno la lavata di capo.

Prendo il tesserino, sto per scendere e il tipo passa (avantindrè, avantindrè, che bel divertimento…).

Io (seccata ma calma): Dovrà ritirare il tesserino in direzione.
Lui (strafottente): Perché?
Io (???): Perché lei non può stare lì.
Lui: Non alzi la voce con me!
Io (??????): Non ho alzato la voce.
Lui: Non si permetta!
e mi tira addosso l’elenco delle riviste.
Intervengono il mio collega e due studenti dicendogli di stare calmo. Questo con sorrisino strafottente bello pacifico rientra e si rimette in sala.

Chiamo il mio capo, lo porta fuori, gli parla e indovinate un po’? Il tipo mezz’ora dopo mi fa sì le scuse, ma è di nuovo dentro bello pacifico.

Ma chi me lo fa fare.

effetti collaterali

Ieri mi trucco per la prima volta dopo mesi e a) mi cedono per la prima volta il posto sull’autobus b) il collega mi chiede se non sto bene.

Non so se ripeterò.

sono demagogica

Diciamo che in tempi di crisi è chiaro che per recuperare i soldi da buttare per il ponte di Messina e per piazzare referendum a caso cioè intendevo in date per cui qualcunque italiano il cui QI è notoriamente sotto lo 0,1 non rischi di sbagliare tra schede e crocette (e in effetti se ha votato ‘sta gente non hanno tutti i torti a pensarlo tale) – mi sono persa… ah sì, potrei cominciare a considerare l’evasione fiscale* un’ipotesi da non trascurare, ma essendo dipendente, almeno che piglino i soldi dai 200.000 (hahahaha) italiani che dichiarano più di 120.000 euro l’anno. Eccheccazzo.

 

* specifico fiscale perché il trasferimento in altro Paese per donna incinta con lavoro e capacità scarsamente rivendibili direi che è escluso. Ma se avete notizie contrarie, sapete dove trovarmi.

lo so che siamo strani

Sabato, ora di pranzo, autogrill Bauli.
Discutiamo di un articolo che Fede ha spulciato su Focus sulla fede cattolica degli extraterrestri (noto che la rivista raggiunge sempre nuove vette per essere letta dai Men in black), io gli parlo del libro che sto leggendo, un romanzo abbastanza particolare sul rapporto tra religioni (Il re, il saggio e il buffone).

Io: – Lo sai vero che siamo l’unica coppia al mondo che discute di filosofia teologica davanti a un panino dell’autogrill?
Fede: – E me ne vanto.

Io amo quest’uomo.