Il 27 io e F. siamo andati al concerto di Capossela a Milano; prime due date esauritissime, abbiamo saputo in tempo di quella aggiuntiva. E’ un po’ il ‘nostro’ cantautore quindi ci tenevamo molto.
Lui ha scritto le sue impressioni qui, io altrove e le riporto.
Il concerto di Milano è stato semplicemente SPLENDIDO.
Innanzitutto come da consiglio ci sono arrivata leggermente ubriaca :oD
Scherzi a parte, tutta la prima parte del concerto (durato tre ore con una pausa di quattro minuti e mezzo!) era dal nuovo album; alcune canzoni che non mi piacevano neanche dall’album non mi hanno entusiasmato neppure dal vivo (le prime, alcune quasi disturbanti – Vinicio il tecno-porno lascialo a casa va’: come ha detto il mio accompagnatore, è meglio quando guarda il fondo del bicchiere che quando vola sulle ali dell’acido :oP ), ma il resto è stato molto affascinante ed estremamente visionario (grazie anche alle stupende ombre cinesi).
Però alla pausa ero un po’ delusa. A me Capossela (peraltro scoperto abbastanza di recente con un lungo giro di associazioni e rimandi) piace perché ti racconta cose quotidiane in una maniera che tu non riusciresti mai. Però sono reali. Invece quest’ultimo album è appunto estremamente visionario: molto bello cmq, ma non il motivo per cui amo Capossela. Non so spiegarmi: è come andare a un concerto di Gino Paoli e trovarti Ligabue. Amo entrambi ma non è quello che mi aspettavo.
Oltrettuto visto che era tardi pensavo avrebbe fatto qualche bis dai vecchi album e via. Invece i bis sono durati un’ora e un quarto :o)))
E le interpretazioni erano da urlo. Che coss’è l’amor cantata da tutta la platea; Pioggia in novembre che avevo sempre ascoltato come appunto si ascolta la pioggia fuori dalla finestra senza mai accorgermi che parla di Milano; Il tanco del murazzo da paura; eccetera eccetera eccetera… fino al veglione che sarebbe stata una chiusura perfetta (e buonanotte!) ma improponibile a un pubblico esaltato e quindi seguita da Ovunque proteggi, semplicemente da brivido. In tutto ciò intermezzi, conversazioni che non si sa bene dove andavano a parare, commenti a canzoni mai eseguite (‘bella vero? peccato che non l’ho mai finita’), esitazioni su cosa fare (‘bella anche questa, ma l’ho già fatta’) che rendevano l’atmosfera incredibilmente intima anche per le canzoni con più ritmo.
E il pezzo forte: un’intera banda di ottoni che era più fuori di lui e che pare fosse un fuori programma. Fantastico.
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